#enricoristaisereno

Tra i diversi concetti con i quali questo cataclisma della pandemia ci ha costretto a familiarizzare c’è quello delle cosiddette “categorie fragili”. Più precisamente abbiamo tutti appreso l’importanza, nel pieno di un’emergenza sanitaria, d’identificare e tutelare per primi tutti quei soggetti che si trovano già in condizioni precarie per problemi pregressi. Un principio che per la verità sembrerebbe piuttosto elementare ma che, a giudicare da come sono andate le cose, non dev’essere ancora del tutto chiaro ai responsabili dell’unità di crisi.
Se così non fosse, infatti, non si spiegherebbero le ragioni per le quali dalla categoria degli svantaggiati e dei più deboli siano stati clamorosamente tenuti fuori quei poveri disgraziati del Pd. Eppure anche un bambino sa bene che nel nostro Paese (ma probabilmente anche nell’intero globo terracqueo) non esistono individui più cagionevoli degli inquilini del Nazareno. Gente talmente sfigata da aver contratto una sorta di mutazione autoctona del virus che avrebbe – esattamente come la celeberrima nuvola di Fantozzi – la proprietà di colpire esclusivamente i tesserati Dem. Si tratta della temibilissima “variante toscana” che pare si sarebbe sviluppata con larghissimo anticipo non solo rispetto a tutte le altre varianti in circolazione, ma addirritura ben prima dell’arrivo della prima ondata.

Secondo uno studio curato da Busaferro in persona la “variante toscana” circolerebbe tra il popolo dei democratici, ai tempi ancora in forma asintomatica, addirittura fin dal lontano 2014. Per ironia del destino (e complice quel mitologico 40 percento alle europee), in quel periodo tale sciagura veniva interpretata dalle vittime come una specie di benedizione e l’untore, che come avrete intuito risponde al nome di Matteo Renzi, come una sorta di uomo della provvidenza. Peccato che dopo neanche un anno iniziarono ad arrivare i primi devastanti sintomi e il Nazareno si trasformò nel giro di poco in un vero e proprio Lazzaretto con tanto di bollettino quotidiano che registrava il crollo della curva dei consensi. Una tragedia tutta privata, quella del Pd, che, come dicevamo, le istituzioni non hanno saputo cogliere e alla quale non hanno saputo dare risposte: nessuna assistenza domiciliare; nessun ricovero; niente monoclonali; nessuna speranza di vaccino. E intanto la “variante toscana” continuava a mietere indisturbata le sue vittime.

L’ultimo a cadere sotto i colpi del virus è stato il povero Nicola Zingaretti. Così, abbandonato al proprio drammatico destino, il disgraziato popolo Dem ha dovuto organizzarsi in proprio, ripiegando sull’immunità di gregge. E oggettivamente l’unico che aveva qualche possibilità di rimpiazzare il compianto fratello di Montalbano senza fare in breve tempo la sua stessa fine, era Enrico Letta: uno che ai tempi della vicepresidenza del partito s’è beccato la forma più aggressiva del virus che lo costrinse in una sorta di quarantena forzata in Francia durata poi la bellezza di sei anni. Un autentico sopravvissuto che in quanto tale dovrebbe aver sviluppato almeno in linea teorica un po’ di anticorpi naturali. Verissimo, per carità. Ma se fossimo nei panni del neo segretario del Pd staremmo tutt’altro che sereni e ci presenteremmo ugualmente al cospetto di Matteo Renzi con doppia mascherina, guanti, scafandro modello reparto Covid e, per non sbagliare, pure mutande di bandone: stiamo pur sempre parlando di un virus fuoriuscito dai vecchi laboratori democristiani di Buttiglione e della Iervolino che il miracolato Letta, tra l’altro, conosce molto bene. Ergo dovrebbe sapere che da quelle parti le “mutazioni” sono all’ordine del giorno.

Alessio Di Mauro